Nel seminario del 24 marzo, oltre che del finanziamento delle autonomie territoriali e della sanità si è parlato anche, nella garanzia dell’uguaglianza nel godimento dei diritti, di differenziazione nell’offerta dei servizi di tutela della salute
Io da tempo penso che per questi obiettivi lo strumento dell’autonomia differenziata ex art.116, comma 3, sia del tutto fuorviante. Esso non serve ad avere più autonomia, ma viene utilizzato soprattutto a garantire un sistema di finanziamento privilegiato e automatico ad alcune regioni, che rende impraticabile la perequazione sostanziale (la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni a tutela dei diritti sociali dei cittadini).
La compartecipazione fissa a tributi erariali è uno strumento non opportuno, soprattutto nei casi in cui, vedi le Regioni a statuto speciale, la soglia di questa compartecipazione sia molto alta (fino al 100% in Val d’Aosta, 90% nelle province autonome di Trento e Bolzano; in Germania nessun Land supera la soglia del 50%). Rende rigido il sistema di finanziamento e soprattutto cristallizza, rende irreversibile la situazione. Se poi la si introduce per le Regioni più ricche, si rendono impraticabili i sistemi di equa ripartizione fondati su Lep, il fondo perequativo del comma 4 dell’art. 119 Cost, gli interventi speciali di cui al comma 6.
Le esigenze di differenziazione che Tubertini ci ha bene rappresentato si possono realizzare creando asimmetrie nella ripartizione delle funzioni tra Stato e regioni, oppure è meglio che lo Stato faccia dappertutto le stesse cose e le regioni e i loro enti locali svolgano, secondo il principio di sussidiarietà, le funzioni non statali (tali perché naturalmente e storicamente locali o perché decentrate)?
Il problema tipico degli stati federali è stabilire per quali funzioni sia necessaria una amministrazione unitaria statale/federale e quali funzioni possano essere affidate alle amministrazioni degli enti territoriali, perché le esigenze di unitarietà possono essere soddisfatte in modi diversi (con regole comuni e con obiettivi condivisi). Il problema italiano è che, per noti motivi storici, questa valutazione organica non è stata mai fatta e si è proceduto secondo la spinta del momento. Dubito che la negoziazione tra una singola Regione e lo Stato, che è stata utilizzata per delimitare il riconoscimento di autonomia alle RSS, possa essere replicata con successo oggi, quando il problema principale è quello opposto, della grande ripartizione di compiti tra Stato e autonomie, in via generale e possibilmente stabile.
Cosa può essere necessario per realizzare una differenziazione virtuosa? Forse avere spazi di maggiore autonomia normativa e organizzativa e disporre di risorse finanziarie adeguate. A regime questa differenziazione nei modi di tutela dei diritti sociali fondamentali è insita nel riconoscimento di autonomia ordinaria. Poi ci può essere spazio per sperimentazioni avanzate che alcune regioni potrebbero realizzare sempre con l’obiettivo di rendere poi generali, per tutti i territori regionali, queste sperimentazioni.
Di nuovo, tutto sta nel rifiutare con forza lo schema della competizione tra territori che tanti danni sta creando nelle relazioni interne (tra Stato e autonomie territoriali) e nelle relazioni intraeuropee (tra gli Stati membri).
Ho avuto già modo di esporre una tesi molto radicale: eliminiamo del tutto il modello delle RSS e dell’autonomia asimmetrica e sostituiamolo, riscrivendo l’art. 116 Cost., con una nuova stagione di differenziazione molto mirata, che serva a tutelare dei nuclei di asimmetria ineliminabili (la tutela delle minoranze linguistiche, ad esempio), in un quadro ordinario di ripartizione delle funzioni e di finanziamento che di per sé sia già in grado di assicurare, insieme, autonomia e differenziazione a tutti i sistemi territoriali regionali e uguaglianza nel godimento dei diritti sociali per tutti i cittadini.

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