di Alessandra Pioggia

Il 24 marzo pomeriggio abbiamo potuto ascoltare le riflessioni di studiosi e studiose che si sono occupati di servizi, e di servizio sanitario in particolare, da diversi punti di vista: economico finanziario, costituzionale, amministrativo. Al centro due temi: quello del finanziamento del sistema pubblico, nell’incrocio fra i meccanismi del federalismo fiscale e dell’uniformità dei livelli essenziali delle prestazioni, e quello della garanzia istituzionale del diritto alla salute, fra natura fondamentale ed eguale del diritto e differenziazione regionale. Ne è emerso un quadro di grandissima utilità. Sono stati illustrati meccanismi complessi, derivanti da un quadro normativo che ha effettivamente investito su un equilibrio fra uniformità e differenziazione, ma nella concreta attuazione del quale, ci si è mossi, per così dire, al contrario. Sotto il profilo del finanziamento, ad esempio, il punto di partenza non sono i costi delle prestazioni che soddisfano i livelli essenziali, né i fabbisogni che dovrebbero garantire la pienezza dei diritti, ma lo stanziamento statale di risorse per la sanità. Da questo si parte, infatti, per distribuirne le quote fra le regioni, trasformando gli strumenti di uniformità (lea) e di garanzia sostanziale dei diritti (fabbisogni) in meccanismi di conteggio della parte spettante a ciascuna regione di un fondo predefinito. In questo modo si mortificano insieme le ambizioni di federalismo fiscale, e, quel che a mio modo di vedere è più grave, le capacità dello Stato di fare politiche sanitarie e sociali, anche in funzione di uguaglianza. A tutto ciò si aggiunge la dimensione inadeguata delle risorse dedicate alla sanità, che in rapporto al Pil sono fra le più basse in Europa, anche perché l’Italia ha tagliato in spese per la salute più degli altri Paesi negli anni della crisi economica. Non stupisce allora che le misure di uniformità imposte dal governo centrale abbiano riguardato prevalentemente la spesa, e che, di fronte alla incapacità di alcune regioni di erogare servizi con le risorse assegnate, la ricetta sia stata quasi sempre la riduzione organizzativa attraverso la chiusura di presidi e l’accorpamento dei reparti. L’uniformità praticata ha così compresso ambiti in cui la differenziazione era possibile, mentre ha trascurato spazi in cui occorreva garantire un’eguale piena soddisfazione del diritto alla salute. Non è da escludere che le tensioni verso una autonomia asimmetrica siano derivate anche da questo scarto fra il previso e il praticato. Un investimento di risorse appare, quindi, certamente essenziale, ma non basta finanziare, occorre domandarsi cosa e come si finanzia e in che modo i servizi garantiscano eguaglianza nel godimento del diritto. Il PNRR, al quale purtroppo si è riusciti ad accennare solo negli ultimi minuti del seminario, non sembra fornire una risposta adeguata in questo senso. Gli investimenti toccano solo molto parzialmente la capacità di servizio e l’enfasi sulla sanità territoriale riguarda i nuovi spazi e nuovi modelli (ospedali di comunità e case delle comunità), ma non rafforza i servizi, anzi: il rischio è quello di disperdere le esigue energie in una pluralità di strutture. Un nodo chiave che non viene toccato è quello relativo al personale. Risorse umane già inadeguate dovranno sostenere una riorganizzazione che non promette di risolvere i problemi, ma rischia di peggiorarli. Un solo esempio. Attualmente alle persone malate assistite a domicilio la nostra sanità riesce ad assicurare 18 ore all’anno di assistenza da parte di personale medico e infermieristico (dati dell’annuario statistico del Ministero della salute). La media europea è di 240 ore. Nel PNRR si prevede un aumento consistente del numero di persone malate assistite nella propria casa, quasi un raddoppio. Ma non si prevede alcun aumento del personale dedicato a questi servizi. L’esito sarà un inevitabile abbassamento della qualità dell’assistenza. Un abbassamento peraltro diseguale, dal momento che, ad esempio, le differenze regionali nella spesa per l’assistenza domiciliare sono già enormi: a fronte di una spesa media pro-capite di circa 120 €, l’esborso delle varie regioni varia dai 40,7 € della Valle d’Aosta ai 262 € del Friuli Venezia Giulia (dati 2020). Si tratta solo di un esempio. Ma significativo, se consideriamo come uno degli slogan con il quale sono state presentate le misure del PNRR in sanità è stato “la casa come primo luogo di cura”. Mentre si realizzano strutture e si progettano ripensamenti dei servizi, i pronto soccorso continuano ad affollarsi sopra le loro capacità, testimoniando che la fragilità della sanità territoriale è ben lungi dall’aver iniziato a risolvere le sue carenze. Il punto di osservazione della sanità ci dice molto sui limiti dell’impianto complessivo del PNRR. Presentato come insieme di misure per la ripresa anche di un sistema pubblico affaticato da anni di tagli e di politiche attente quasi esclusivamente alla spesa, non contiene gli elementi essenziali per realizzare quanto dovrebbe. Nel caso del sistema sanitario, non diversamente da quanto previsto per altre realtà pubbliche, non tiene conto della necessità di rimettere in piedi il paziente prima di chiedergli di correre. Gli investimenti fondamentali, che pure correttamente toccano i servizi territoriali, dovrebbero riguardare innanzi tutto la capacità di servizio e, quindi, prima di ogni altra cosa, il personale e la sua qualità. Nel nostro Paese mancano medici, infermieri e operatori socio sanitari e immaginare nuove strutture e nuovi modelli operativi nei quali queste figure dovrebbero operare non risolve il problema, ma, nel peggiore dei casi, lo amplifica. In conclusione del seminario abbiamo condiviso l’opportunità di continuare a ragionare sul tema della sanità, sia per la sua assoluta rilevanza, sia per il punto di osservazione che offre in generale sui servizi e sul loro sviluppo. I temi che ci ripromettiamo di approfondire sono, oltre a quello della praticabilità concreta della nuova sanità territoriale nel PNRR, quello dell’uniformità mancata nella disciplina statale del sistema sanitario, quello della differenziazione praticabile a legislazione vigente e quello delle risorse, sia sotto il profilo della loro necessità “costituzionale”, sia sotto quello della loro distribuzione fra le regioni. Arrivederci al prossimo seminario.

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